2.12.08

Il Riformista, martedì 2 dicembre 2008
Neosocialismo caritatevole. Il partito di Chiamparino
di Linda Lanzillotta

Quale rapporto deve esistere tra politica, istituzioni e poteri economici; e quale ruolo può avere il Partito democratico del Nord? Due temi essenziali affrontati da Chiamparino nell' intervista domenicale di Lucia Annunziata con tesi che meritano una discussione.
Il sindaco di Torino ha spiegato come il suo Comune sia "azionista" di riferimento della Compagnia di San Paolo (con buona pace della natura privatistica delle fondazioni bancarie, sancita dalla giurisprudenza costituzionale e dell'autonomia delle banche partecipate voluta dalla legge!), che la fusione tra San Paolo e Banca Intesa è stata da lui benedetta, ma che il piano industriale della nuova Banca deve essere conforme agli interessi della città di Torino (evidentemente anche quando questi non coincidessero con quelli del restante 91,4 per cento degli azionisti) e che dunque è normale che, anche se indirettamente, vi sia un'influenza del sindaco sulle strategie e sugli assetti manageriali della Banca. Ha inoltre anticipato che il dottor Iozzo, importante banchiere che rientrerà con ruoli di responsabilità nel gruppo San Paolo Intesa, andrà anche a presiedere una delle tante società del Comune di Torino che dovrà gestire operazioni finanziare e di valorizzazione immobiliare. E alla Annunziata che obiettava che forse, in questo modo, il sindaco ha un po' troppo le mani in pasta, ha replicato che le sue mani sono pulite (cosa di cui nessuno ovviamente dubita) e che gli effetti finanziari ed economici che il Comune ricaverà da tutte queste operazioni andranno a beneficio esclusivo dei cittadini torinesi.
Nessun dubbio sulla buona fede di Chiamparino. Ma siamo sicuri che il sistema di integrazione verticale tra politica, istituzioni, sistema bancario e soggetti economici che lui ci propone come chiave per lo sviluppo territoriale sia quello che corrisponde al progetto di modernizzazione che il Pd ha in mente? O questo modello contiene un'idea dirigistica dell'economia, un ruolo paternalistico dei poteri pubblici nei confronti degli attori economici; e implica una pervasività e forme di collateralismo tra politica ed economia, incompatibili con un'economia di mercato fondata su sistemi pubblici di regolazione e di controllo la cui forza e incisività dipende dalla loro assoluta autonomia?
E ancora: un modello di tal genere, aldilà delle qualità morali e della intelligenza degli uomini che pro tempore ricoprono ruoli istituzionali, non contiene in sé i germi di possibili drammatiche degenerazioni come quelle cui stiamo assistendo in molte amministrazioni locali governate anche dal centrosinistra? E non è proprio la distinzione e reciproca autonomia tra politica e istituzioni da una parte, e banche e imprese dall'altra, una delle idee fondanti del nuovo Pd e condizione per realizzare veri e profondi processi di liberalizzazione dell'economia e della società? Processi nei quali la responsabilità sociale dell'impresa e la finalizzazione dell'attività economica è rimessa alle autonome scelte degli operatori dentro un quadro chiaro di regolazione pubblica. Mentre il ruolo del pubblico sta nella creazione dei beni pubblici necessari alla competitività del sistema (pubblica amministrazione, infrastrutture, formazione, ricerca, reti).
Il modello di neosocialismo territoriale caritatevole proposto da Chiamparino sembra in fondo abbastanza vicino all'idea che, sull'altro fronte, ispira l'azione del Tremonti antimercatista, non a caso tanto amato dalla Lega. C'è quasi uno stesso modo di parlare alle società del Nord. Ma allora si tratta di capire se il Partito del Nord che Chiamparino ha in mente propone a questi territori modelli economici aperti, competitivi, attrattivi per nuovi soggetti economici, o sistemi chiusi nel territorio, verticalmente integrati e difficilmente penetrabili da attori economici che non siano cooptati dalla politica locale. Ancor prima che di alleanze e di candidature, sarebbe allora utile discutere di questo; e anche del fatto che una politica del Nord non può prescindere da una politica nazionale. E innanzi tutto da una politica per il Sud.Perché onestà intellettuale e politica vuole che si dica con chiarezza che la battaglia per il federalismo si vince al Nord ma si combatte al Sud: solo un nuovo modello di sviluppo per il Sud non più basato sulla spesa pubblica, insieme a un radicale rinnovamento della classe dirigente e del ceto politico meridionale, possono rendere concreta e realistica quella rivoluzione che sarà il passaggio dalla spesa storica ai costi standard. Diversamente il federalismo non potrebbe che risolversi in un disegno di separazione dei rispettivi destini. Ecco perché io credo che un Pd del Nord potrà essere credibile e competitivo, ma non subalterno alla Lega, certo esprimendo forti leadership del territorio, ma innanzitutto proponendo una visione nazionale innovativa e segnata da forte discontinuità culturale e politica.

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